— Anno: 1999-2002
— Editore: Einaudi
Scrivere per me significa offrire opportunità di replica a parole, gesti, silenzi, ascoltati. Una replica appunto, un'impollinazione. Un'eco a ciò che ho avuto la fortuna e il privilegio di incontrare nella mia professione di psichiatra e vagabondo: un'eco a disordini etici, vacuità, disperazioni, indifferenze, tracotanze, indignazioni, sogni, rassegnazioni, vanità
Scrivere per me rappresenta una necessità: poter condividere un dolore che altrimenti mi sommergerebbe. Uscire dalle solitudini mie e di tante persone conosciute e solo sfiorate. Patteggiare il peso di ricatti subiti e di lontananze create. Non rassegnarmi all'improbabilità di trovare un filo di empatia capace di ricucire le nostre lacerazioni più profonde.
C'è bisogno di raccontare e di ascoltare, lo dice la gente che ogni giorno incontro e che temo di vivere annaspando tra privilegi muti, persone che vorrebbero intercettare autenticità per poter orientare le proprie vaghe regole di vota. Perché molti avvertono salire la nausea per l'artefatto, per un opportuno privo di senso, per una ritualità normativa, per una quotidiana finzione.
Scrivere, dunque comunicare, dunque frequentare terreni di confine per sperimentare intrusioni, confondimenti, intersezioni: utilizzare lo specifico, le competenze come necessaria partenza per cercare approdi non ancora pensati, non scontati. Cercare linguaggi, emozioni: esigenza primario per chi sente l'ambizione di liberarsi dalla necessità di difendere il proprio vocabolario del suo arido specialismo.
Un intellettuale non può certo pretendere di pensare il nuovo - qualità di pochi eccelsi - piuttosto dovrebbe accorgersi, assumere, replicare una necessità che a volte assomiglia a un'indignazione sopita, consegnata a un ordine omologato. Sbalordire, scuotere una comunità dove molti vorrebbero adattarsi all'idea che sia più facile star male che star bene: paradosso dello sviluppo della cultura occidentale.
C'è bisogno di raccontare e di ascoltare, lo dice una palpabile disperata necessità di tornare a sentire e sentirsi. A immaginarsi ogni volta diversi e vivi. Una necessità che sembra invece poter affiorare soltanto di fronte alle catastrofi, alle stragi, alle guerre, alle devastazioni. Come se l'uomo potesse ritrovarsi solamente davanti alla morte. Eppure educhiamo i nostri figli a fuggire ogni forma di dolore, ci ostiniamo a volerli tutelare infarcendoli di superfluo.
Forse per tornare a sentire dobbiamo innanzitutto rassicurarci, per non spaventarci troppo del mondo che abbiamo appena costruito: ma rassicurazione non è fuga, ma consapevolezza, acquisizione di coscienza, assunzione di responsabilità.
Ho cercato dunque di scrivere storie che parlano delle nostre paure, di ombre vanamente fuggite, di dolori pateticamente emendati. Per non naufragare dobbiamo forse pensarci come bambini disorientati. Per concederci quel bisogno di affabulazione, di legame possibile.
Affabulazione, parola desueta in epoca di grandi trasformazioni della quotidianità e di tecnologie applicate all'educare. Eppure non c'è nulla di più moderno della lettura di una fiaba, e nulla di più utile alla crescita di una comunità cosciente. L'affabulazione è infatti una forma straordinariamente efficace di pedagogia emotiva, uno strumento per costruire e saldare un rapporto affettivo.
Le fiabe - soprattutto quelle classiche, le più belle - sembrano scritte da persone sadiche tanto sono affollate di mostri, streghe, personaggi spaventosi, scene raccapriccianti. Naturalmente ci sono anche fate e principi, battaglie eroiche e imprese strabilianti: perché lo scopo principale di una buona favola - ovvero di ogni storia - è suscitare emozioni, emozioni forti e contrastanti, la ricerca della nostra identità più celata.
Si potrebbe anzi affermare che l'affabulazione consiste proprio nella capacità di indurre una casata di paure alternata a rassicurazioni che sprofondano a loro volta nello sconcerto per finire nella gioiosa scoperta del sortilegio e dell'incanto: come accade nella più stupefacente e gigantesca montagna russa di un lunapark. In altre parole l'affabulazione è transizione emozionale che avviene attraverso i contenuti raccontato o letti, ma anche e soprattutto per mezzo del contatto che si stabilisce tra il narratore e il bimbo o il lettore: il primo ascolta e partecipa attraverso il tatto, il tono della voce, le sospensioni, le carezze, i silenzi, il secondo essendo rapito dall'immaginazione, risucchiato da un processo di identificazione finalmente svelato.
La narrazione di una fiaba ha soprattutto una caratteristica intrinseca: non sopporta la lontananza, la delega. Esattamente come una scrittura di una storia. Chi potrebbe mai raccontare una favola a un bimbo seduto a dieci metri dal narratore? I grandi scrittori di fiabe erano forse crudeli, ma non tanto da immaginarsi che le loro opere meravigliose sarebbero state contenute in una videocassetta che un bimbo si sarebbe guardato sprofondato nel divano di casa, da solo alle cinque di pomeriggio. Chi potrebbe pretendere d'altra parte che la lettura di un brano di un romanzo di Calvino possa equivalere all'ascolto di quelle parole attraverso l'auricolare di un registratore correndo in mezzo a un parco?
Quante favole ci hanno raccontato quando eravamo piccoli? A me tante e cosí spero a voi, ma se qualcuno mi chiedesse quante me ne ricordo risponderei imbarazzato: poche Eppure se, chiudendo gli occhi, potessi sentire l'odore del borotalco di mia nonna che me le raccontava alla sera sdraiata accanto a me sul letto, non potrei confonderlo con nessun altro al mondo. E il profumo della carta di quei libroni illustrati, la porporina lucente dei titoli delle copertine, la fastidiosa sensazione della muffa respirata a ogni pagina girata?
L'affabulazione è dunque la sedimentazione di sensorialità (odore, sapore, tatto), acquisizione di emotività: e quando ci hanno insegnato queste meraviglie, non ce le siamo più scordate e le abbiamo cercate, quelle emozioni, per tutto il resto della vita.
L'affabulazione consente di alimentare e rafforzare il sistema immunitario psicologico di un bambino: quello che gli consentirà di non essere sopraffatto dalla noia e di non stufarsi mai di cercare la dimensione emotiva nei progetti che avrà e nelle decisioni che prenderà. Il racconto e la lettura di una storia hanno il compito di preservare nell'adulto il senso di quell'antica scoperta, di una imperscrutabile necessità.
In un mondo diviso da odio e distruzione, la favola non potrebbe insegnare agli adulti che i bambini hanno diritto a crescere sognando? E quegli adulti non possono ammettere a loro stessi che raccontare permette a ciascuno di continuare a comunicare emozioni, di non cedere al silenzio e all'incomprensione?
Scrivere, dunque, è per me ripristinare un ponte sospeso nella memoria di tante storie ascoltate da persone che me le affidavano. Quelle storie, quei brani di esistenza sono diventati parte di me, mia crescita, mia coscienza, mia stratificazione. Alla fine si sono trasformate a loro volta in altre storie, in altre parole affidate alla corrente dei nostri pensieri come un messaggio custodito in una bottiglia e abbandonata in un oceano.
Bottiglia spedita prima del naufragio.